1 - Cistus monspeliensis - Foto Teo Dura
1 - Cistus monspeliensis - Foto Teo Dura

CISTO DI MONTPELLIER (Cistus monspeliensis L.)

Fam. Cistaceae

 

Etimologia: Il nome del genere deriva dal greco κίστος, scatola, capsula, in allusione alla forma e alla consistenza del frutto che aprendosi di scatto, sotto la spinta delle alte temperature estive, espelle i semi. Il nome specifico invece deriva da (di) Montpellier, città della Francia meridionale dove verosimilmente la specie è stata descritta.

Antesi (fioritura): aprile-maggio.

Arbusto caratteristico della gariga e della macchia degradata, raramente supera un metro di altezza. È tra le piante che più resistono agli incendi, anche ripetuti, traendone anche vantaggio, in quanto il forte calore sprigionato facilita l’apertura dei frutti agevolando di conseguenza la disseminazione. La pianta, ramosissima (foto n. 1) e vischiosa, emana un gradevole profumo resinoso che si esalta, al pari di tante altre essenze mediterranee, con le alte temperature.

Le foglie sono intere e sessili, opposte, vischiose e di colore verde scuro, rugose sulla pagina superiore e tomentose su quella inferiore (foto n. 2).

I fiori sono raggruppati in racemi (in media 3-6 fiori per racemo); i petali (5 per fiore) sono di colore bianco con macchia gialla alla base; gli stami, di colore giallo, sono numerosi (foto n. 3).

 

Sul territorio della Masseria Carmine è ben presente nelle aree a macchia.

 

Curiosità: Dalla pianta (ma anche da altre specie di Cistus) si ottiene una resina, il ladano, usata in passato in fitoterapia e tuttora utilizzata in profumeria e nella produzione di incensi.

 

Strofinando energicamente le mani sulle foglie di C. monspeliensis, si avverte un odore molto simile a quello della colla contenuta nelle figurine autoadesive. 

2 - Cistus monspeliensis - Foglie e frutti - Foto Teo Dura
2 - Cistus monspeliensis - Foglie e frutti - Foto Teo Dura
3 - Fiore di Cistus monspeliensis con Trichodes alvearius - Foto Teo Dura
3 - Fiore di Cistus monspeliensis con Trichodes alvearius - Foto Teo Dura