Orchidee

Premessa: Le nozioni qui riportate non vanno interpretate come esaustive sull’argomento, ma solo come informazioni atte a fornire al lettore un’idea generica sugli aspetti biologici ed ecologici di queste meravigliose e straordinarie piante. Quanto riportato, relativo ai cenni su morfologia e riproduzione, riguarda esclusivamente le specie presenti sul territorio provinciale, se non altrimenti specificato.

 

GENERALITÀ

 

Il sostantivo orchidea evoca nell’immaginario collettivo, visioni di intricate foreste tropicali piene di insidie o, più pragmaticamente, piante con vistose e originali forme e colori utilizzate per arredare la propria abitazione o da regalare.

L’appassionato naturalista però è a conoscenza che anche in Europa, nel bacino del Mediterraneo e quindi anche sul nostro territorio, esistono molte specie di orchidee spontanee, sicuramente diverse e di dimensioni più modeste, ma non prive di notevole fascino e bellezza. Tali specie per poter vivere necessitano di particolari e delicate peculiarità ecologiche e biologiche e risultano pertanto estremamente vulnerabili e quindi degne di attenzione e tutela.

Le orchidee possono vegetare, allo stato spontaneo, in ogni tipo di ambiente, ad eccezione di deserti, ghiacciai e fondali marini. Sono presenti fino al 64° parallelo Nord (con la specie Calypso bulbosa) e in alcuni casi fino a 4000 metri di altitudine (in Italia fino a 2000-2500 metri). Nel mondo, a seconda dei criteri di classificazione adottati (diversi a discrezione degli autori) si contano circa 25.000 specie spontanee, raggruppate in circa 750 generi.

In provincia di Taranto sono note una cinquantina di entità, tra specie e sottospecie; tra queste alcune sono endemiche, cioè proprie (quasi esclusive), del territorio in cui vegetano; numerosi gli ibridi noti. Le fioriture, nella nostra provincia, iniziano a metà gennaio (a volte anche da fine dicembre) e si protraggono fino alla prima metà di giugno.

La famiglia botanica delle Orchidaceae è quella più recentemente apparsa sul nostro pianeta (circa 15 milioni di anni fa secondo le ricerche più accreditate) e per le forme, i colori e le strategie riproduttive rappresenta nel mondo vegetale quella più evoluta.

La famiglia delle Orchidaceae appartiene alla classe botanica delle Monocotiledoni. I cotiledoni sono le prime foglioline (embrionali) che fuoriescono dal seme; nelle Dicotiledoni (es. legumi, rose, margherite) sono sempre due, mentre nelle Monocotiledoni (es. aglio, cipolla, grano) è sempre una.

Il sostantivo “orchidea” deriva dal greco ὄρχις (orchis), testicolo, in allusione alla forma dei rizotuberi (ipogei), presenti in alcuni generi e somiglianti nella loro forma alle gonadi dei mammiferi maschi, uomo compreso.

 

MORFOLOGIA

 

Le orchidee presenti sul nostro territorio sono costituite da una parte visibile (epigea, aerea) ed una non visibile (ipogea, sotterranea).

1 - Bulbo di Ophrys sp. - Foto Teo Dura
1 - Bulbo di Ophrys sp. - Foto Teo Dura

La parte ipogea (foto 1), è costituita da porzioni di fusto ingrossate (bulbotuberi se trattasi di piante provviste di bulbi, presenti in genere in numero di 2-3, rizotuberi se trattasi di piante provviste di rizomi) da cui si diparte il sistema radicale vero e proprio con funzione di assorbimento.

2 - Foglie, caule, infiorescenza (Anacamptis morio) - Foto Teo Dura
2 - Foglie, caule, infiorescenza (Anacamptis morio) - Foto Teo Dura

La parte epigea (foto 2) invece, comprende il fusto (più correttamente caule o scapo), le foglie e l’infiorescenza.

 

I bulbi, ove presenti, possono avere forma ovata - tondeggiante (generi Ophrys, Orchis, Neotinea, Anacamptis, Serapias), allungati e più o meno divisi (Dactylorhiza), napiforme, cioè come una piccola carota ingrossata al centro (Platanthera, Spiranthes).

Il caule si presenta sempre singolo ed eretto (eventuali biforcazioni o ramificazioni vanno interpretate come difetti).

3 - Brattea (Orchis italica) - Foto Teo Dura
3 - Brattea (Orchis italica) - Foto Teo Dura

Le foglie sono sia raggruppate alla base del caule (solo in alcuni generi) dove formano una rosetta , sia distribuite sul caule, a grandezza decrescente a partire dalla base verso l’apice, dove, in prossimità delle infiorescenze, diventano brattee (foto 3), con funzione protettiva dell’infiorescenza o di ogni singolo fiore. In alcuni generi le foglie sono ridotte a piccole scaglie.In alcuni generi la rosetta basale è visibile dall’autunno/inverno che precede la fioritura (foto 4,5).

 4 - Rosetta basale di Anacamptis pyramidalis - Foto Teo Dura
4 - Rosetta basale di Anacamptis pyramidalis - Foto Teo Dura
5 - Rosetta basale di Orchis italica - Foto Teo Dura
5 - Rosetta basale di Orchis italica - Foto Teo Dura

 6 - Infiorescenza lassa e pauciflora (Ophrys sphegodes) - Foto Teo Dura
6 - Infiorescenza lassa e pauciflora (Ophrys sphegodes) - Foto Teo Dura

L’infiorescenza occupa la parte apicale del caule e può essere composta da pochi fiori (pauciflora) o molti fiori (multiflora), distribuiti a una certa distanza l’uno dall’altro (spiga lassa) oppure appressati uno all’altro (spiga densa) in forma cilindrica, conico-piramidale o a spirale (foto 6,7,8). 

7 - Infiorescenza densa e multiflora (Anacamptis pyramidalis) - Foto Teo Dura
7 - Infiorescenza densa e multiflora (Anacamptis pyramidalis) - Foto Teo Dura
8 - Infiorescenza a spirale (Spiranthes spiralis) - Foto Teo Dura
8 - Infiorescenza a spirale (Spiranthes spiralis) - Foto Teo Dura

9 - Fiore di Ophrys passionis (Foto Teo Dura)
9 - Fiore di Ophrys passionis (Foto Teo Dura)

L’antesi, cioè la schiusa dei fiori, ha inizio a partire dal fiore posizionato più in basso a risalire, fatta eccezione per una sola specie, la Orchis simia, non presente comunque in provincia di Taranto, dove avviene esattamente l’opposto.

 

Il fiore è zigomorfo, presenta cioè un solo piano di simmetria. È costituito da due verticilli (insiemi) sovrapposti e sfasati di 120° l’uno rispetto all’altro, di tre elementi ciascuno detti tepali (foto 9).

 10 - Labello di Epipactis helleborine - Foto Teo Dura
10 - Labello di Epipactis helleborine - Foto Teo Dura

Gli elementi del verticillo esterno (tepali esterni) sono uguali tra loro e vengono definiti, per comodità, sepali.

Gli elementi del verticillo interno (tepali interni) vengono definiti, sempre per comodità, petali. Di questi, i due elementi laterali sono uguali tra loro; il centrale invece, posto in posizione inferiore, se ne differenzia notevolmente e prende il nome di labello e assume fondamentale importanza ai fini dell’impollinazione. Il labello, a seconda dei generi, può avere colori e forme diverse; può essere intero o variamente diviso, può essere provvisto di peli, papille, callosità, appendice, gibbosità e ornamentazioni varie.

 

In alcuni generi (es. Serapias, Epipactis, Limodorum) può essere diviso da una strozzatura in due parti: una superiore, detta ipochilo e una inferiore, detta epichilo (foto 10).

11 - Sperone di Anacamptis coriophora subsp. fragrans - Foto Teo Dura
11 - Sperone di Anacamptis coriophora subsp. fragrans - Foto Teo Dura

In alcuni generi, il labello si prolunga posteriormente in una struttura cava, avente quasi sempre funzione di nettario e che prende il nome di sperone (foto 11).

 

Al momento dell’antesi, il labello è posizionato in posizione superiore (tranne in pochi generi che comunque non fanno parte della flora locale), portandosi successivamente in posizione inferiore (favorevole quindi all’atterraggio degli insetti impollinatori) attraverso una rotazione di 180° dell’ovario o del pedicello che lo sostiene (ove presente) detta resupinazione (foto 12, 13).

12  - Fiore non resupinato, in alto, resupinato in basso (Ophrys holosericea subsp. apulica) - Foto Teo Dura
12 - Fiore non resupinato, in alto, resupinato in basso (Ophrys holosericea subsp. apulica) - Foto Teo Dura
13 - Resupinazione....a metà strada (circa 90°) in Ophrys fusca subsp. lojaconoi - Foto Teo Dura
13 - Resupinazione....a metà strada (circa 90°) in Ophrys fusca subsp. lojaconoi - Foto Teo Dura

14 - Apparato riproduttore (Ophrys speculum) - Foto Teo Dura
14 - Apparato riproduttore (Ophrys speculum) - Foto Teo Dura

Al centro dei due verticilli sono posizionati l’apparato riproduttore maschile (androceo) e femminile (gineceo), uniti in un’unica struttura detta ginostemio; pertanto il fiore delle orchidee è ermafrodita.

L’androceo consta in genere di un solo stame fertile in posizione centrale, con polline agglomerato in due masse compatte (pollinodi).

 

Il gineceo comprende la superficie stigmatica (atta a ricevere il polline) e l’ovario che è sempre infero, situato cioè in posizione inferiore rispetto agli altri pezzi fiorali (foto 14).

 15 - Frutti immaturi di Anacamptis morio - Foto Teo Dura
15 - Frutti immaturi di Anacamptis morio - Foto Teo Dura

L’ovario, a fecondazione avvenuta, si trasforma in frutto (foto 15,16) e contiene innumerevoli semi microscopici (da poche centinaia fino a 30.000) privi di sostanze nutritive di riserva e di conseguenza con successo riproduttivo estremamente ridotto (foto 17). 

16 - Frutti maturi e fessurati di Barlia robertiana - Foto Teo Dura
16 - Frutti maturi e fessurati di Barlia robertiana - Foto Teo Dura
17 - Semi di Barlia robertiana - Foto Teo Dura
17 - Semi di Barlia robertiana - Foto Teo Dura

Questi, una volta caduti sul terreno, per poter germinare devono necessariamente incontrare dei funghi microscopici con cui unirsi in simbiosi (simbiosi micorrizica) ed essere nutriti, attraverso un processo che presenta ancora alcuni aspetti da approfondire. Se questo rapporto mutualistico andrà a buon fine, in un lasso di tempo di 3-12 anni si formeranno nuove piantine.

 

RIPRODUZIONE

 

La riproduzione delle orchidee può avvenire per via sessuata, cioè con scambio di materiale genetico, o per via asessuata, cioè senza scambio di materiale genetico. Tuttavia quest’ultima modalità è da considerarsi più che altro come una modalità di conservazione che di riproduzione vera e propria.

18 - Ophrys bombyliflora si moltiplica spesso per via asessuata - Foto Teo Dura
18 - Ophrys bombyliflora si moltiplica spesso per via asessuata - Foto Teo Dura

La riproduzione asessuata consta nella formazione di nuove piante che nascono da bulbilli prodotti dai bulbi principali (foto 18), oppure dalla frammentazione del rizoma se si tratta di piante rizomatose. Naturalmente tutte le piante nate con questa modalità saranno dei cloni della pianta madre.

 

Nella riproduzione sessuata, il polline dall’antera entra in contatto con la superficie stigmatica; tale contatto può avvenire per semplice caduta o attraverso un vettore, che nel caso delle orchidee europee sono gli insetti (entomogamia).

Un insetto che si “impegna” a trasportare il polline da una pianta all’altra, deve sentirsi attratto dalla pianta e in qualche modo, ottenere una “ricompensa” (in Natura va sempre così). Ci sono orchidee che producono nettare o altre sostanze zuccherine fornendo così cibo agli insetti impollinatori (offerta di nutrimento, foto 19,20).

 19 - Bombus terrestris si nutre su Anacamptis coriophora subsp. fragrans (presenti già diversi pollinodi sulla testa) - Foto Teo Dura
19 - Bombus terrestris si nutre su Anacamptis coriophora subsp. fragrans (presenti già diversi pollinodi sulla testa) - Foto Teo Dura
 20 - Zygaena punctum si nutre su Anacamptis coriophora subsp. fragrans - Foto Teo Dura
20 - Zygaena punctum si nutre su Anacamptis coriophora subsp. fragrans - Foto Teo Dura

 21 - Specie non nettarifera (Dactylorhiza romana) - Foto Teo Dura
21 - Specie non nettarifera (Dactylorhiza romana) - Foto Teo Dura

Altre specie invece, prive di nettare, “imitano” attraverso i colori, gli ornamenti e la forma del labello, le specie di altre famiglie botaniche (ad esempio Labiatae, Scrophulariaceae) che sono nettarifere e che vivono negli stessi ambienti, traendo così in inganno gli impollinatori (mimetismo, foto 21).

Ma la modalità di attrazione più sorprendente ed evoluta, è quella messa in atto da tutte le specie del genere Ophrys. Il labello di queste orchidee possiede colori, ornamenti, disegni e spesso, persino due pseudo-occhi, caratteristiche che, nell’insieme, fanno assumere loro le sembianze di un insetto. La peculiarità più importante ai fini dell’attrazione è però la capacità di sintetizzare sostanze odorose simili ai feromoni sessuali che le femmine di determinate specie di insetti producono durante il periodo riproduttivo al fine di attirare i maschi. Tale modalità di attrazione prende il nome di inganno sessualeInfatti i maschi di queste specie di insetti (soprattutto Imenotteri, cioè appartenenti all’ordine di cui fanno parte api e vespe), che in primavera sfarfallano un po’ in anticipo rispetto alle relative femmine, trovandosi al cospetto del labello di queste orchidee (pensate anche al lieve movimento provocato dal vento, che simula il volo) credono, ingannati soprattutto dall’odore, di essersi imbattuti in una potenziale compagna con cui cercano di accoppiarsi (pseudocopulazione). 

 22 - Pseudocopulazione addominale di Andrena sp. su Ophrys fusca subsp. lupercalis - Foto Teo Dura
22 - Pseudocopulazione addominale di Andrena sp. su Ophrys fusca subsp. lupercalis - Foto Teo Dura

In tal modo il loro corpo entra in contatto con le masse compatte di polline (pollinodi). Ciascun pollinodio aderisce al corpo dell’insetto attraverso una ghiandola appiccicosa (tipo ventosa), il viscidio (o retinacolo) che di fatto ne consente il trasporto anche per giorni e per lunghe distanze (foto 22).

Se l’insetto verrà nuovamente attratto “sessualmente” (e quindi ingannato) da un altro fiore, verosimilmente della stessa specie, nel tentativo di accoppiarsi nuovamente, trasferirà parte del polline prelevato dal primo fiore, sulla superficie stigmatica del nuovo fiore, di fatto, impollinandolo. L'insetto può posizionarsi sul labello, in due modalità differenti: con la testa proiettata in direzione dei pollinodi (pseudocopulazione cefalica) o con l'addome (pseudocopulazione addominale).

 Ci sono alcune specie che si autoimpollinano ordinariamente (autogamia, foto 23,24) e a volte (in alcune di queste) col fiore che resta in boccio senza mai schiudersi (cleistogamia).

 23 - Autoimpollinazione in Ophrys apifera - Foto Teo Dura
23 - Autoimpollinazione in Ophrys apifera - Foto Teo Dura
24 - Autoimpollinazione in Ophrys apifera - Foto Teo Dura
24 - Autoimpollinazione in Ophrys apifera - Foto Teo Dura

Le orchidee spontanee sono protette da leggi internazionali e spesso anche da leggi locali. La loro raccolta è vietata e perseguibile con sanzioni amministrative.

Chi ama osserva, contempla, sviluppa empatia, portando via solo il ricordo, l’immagine riprodotta da una foto(video)camera, da un disegno o un dipinto.

Chi vuole possedere ha solo una visione distorta dell’amore. La bramosia di possesso conduce solo in un vicolo cieco, alla perenne insoddisfazione che si autoalimenta all’infinito senza mai portare benefici e serenità se non in modo effimero.

Questo non vale solo per le orchidee ma per tutti gli aspetti della vita. In questo periodo storico sento particolarmente l’esigenza, al di là di ogni retorica buonista, di esprimere la mia solidarietà a tutte le donne che per sete di possesso dei loro mariti/fidanzati/compagni/amanti/amici/familiari in genere (e spesso anche di occasionali conoscenti) ci rimettono la loro serenità (talora con danni fisici ed emotivi permanenti) e spesso anche la vita stessa.

La bellezza si gode, non si “possiede”!!! E’ come se volessimo imprigionare l’aria che ci accarezza o l’acqua che ci ristora. Dopo pochissimo tempo non avremmo altro che asfissia e putrefazione.

Impegniamoci tutti, basta veramente poco, per rendere migliori il mondo e il tempo in cui viviamo; ne verremo ampiamente ricompensati. Cominciare ad amare, osservare, conoscere la Natura, può costituire un ottimo trampolino di lancio.

 

 

Teodoro (Teo) Dura Socio e Coordinatore Provinciale GIROS (Gruppo Italiano per la Ricerca sulle Orchidee Spontanee)